Ancora una volta l’ex Ilva si ripropone come argomento di campagna elettorale, continuando essa a costituire un problema – anzi il problema! – di Taranto il cui grido di dolore, che dura da anni, è sempre stato affrontato pressoché esclusivamente in chiave elettoralistica.
Ma l’interesse della comunità ionica era che lo stesso argomento fosse stato affrontato, nel tempo, con più chiaro senso di responsabilità, con competenza e serietà per dare risposte esigibili ad una città ed al suo territorio il cui conflitto tra salute interna ed esterna alla fabbrica, tra occupazione diretta e indiretta ha costituito linfa vitale più per scontri politici che per la ricerca di soluzioni condivise, cui sono sempre chiamate classe dirigenti degne di questo nome.
Credo sia utile ripassare un po’ di storia, in questo 2022 in cui sono in molti a nutrire sospetti sulle risorse necessarie per far rinascere la fabbrica, tanto sul versante produttivo quanto su quello ambientale.
Si ricordi che il sindacato ha provato a fornire la soluzione migliore e percorribile ma, siccome la soluzione era stata individuata, da più parti si è remato contro affinché tutto restasse com’era, così che oggi, dopo circa 42 mesi trascorsi dall’Accordo del 6 settembre 2018, c’è chi torna a porre le stesse domande alle quali le OO. SS. avevano dato la risposta: quella della contrattazione.
L’Accordo, coerentemente difeso sempre dalla Cisl forniva risposte precise e chiare alle questioni: salute, sicurezza, livelli produttivi e, soprattutto, ai livelli occupazionali con tempistiche chiare e puntuali.
Ma ciò che va ulteriormente evidenziato è che quell’accordo prestabiliva che, su oltre 4MD di investimenti previsti, neanche un euro gravasse sulla collettività ionica.
Purtroppo demagogia, populismo ed irresponsabilità di chi ha avuto anche ruoli di governo hanno fatto in modo che quell’accordo, frutto di mesi di contrattazione, fallisse e addirittura che non partisse mai.
Fortunatamente, quella demagogia che da allora ha destinato Taranto all’agonia, non ha trovato sponda negli stessi “NO” che intendevano far fallire la TAP nel Salento, la stessa che oggi costituisce un’opportunità condivisa a fronte della profonda crisi energetica che, per la guerra in Ucraina, sta attanagliando in particolar modo il nostro Paese con l’esplosione del costo della bolletta energetica di famiglie e imprese.
Dove sono oggi quegli insinuatori seriali per i quali la TAP avrebbe distrutto spiagge, campagna, territorio, costa marina, di tutto e di più, quando oggi quegli stessi posti risultano essere rimessi a nuovo come prima e meglio di prima?
Ma tornando all’argomento ex Ilva, crediamo che ormai sia tempo di porre fine all’agonia ed all’annosa incertezza sociale ed ambientale che da anni tiene sotto scacco il territorio, in particolare le famiglie dei circa 15 mila lavoratori tra diretti, in Amministrazione straordinaria (As), dell’appalto e dell’indotto.
Il Governo, considerando anche la partecipazione statale negli assetti societari, tramite Invitalia, ha il dovere di dare risposte definitive a questa nostra terra, dove la questione della grande fabbrica rischia di generare continui alibi, aprendo da subito un tavolo di confronto con Azienda e OO.SS.
Occorrerà sviscerare definitivamente il Piano industriale di Acciaierie d’Italia, facendo chiarezza su risorse, su chi paga, su chi lavora e quali concreti obiettivi si intendono raggiungere, giacché se il siderurgico ionico chiudesse le conseguenze sull’intera filiera siderurgica e industriale del Paese “sarebbero disastrose” come più volte affermato dallo stesso Governo e da varie fonti autorevoli.
La scelta è tra una fabbrica il cui piano industriale contenga sogni realizzabili, come innovazione, produzione sostenibile sul versante ambientale, rispetto della sicurezza, del lavoro diretto e indiretto, relazioni industriali in cui la partecipazione diventi un laboratorio nazionale, anziché una realtà destinata a lasciare sul territorio esclusivamente macerie occupazionali oltreché ambientali.
Non ci stancheremo mai, di ricordare le conseguenze della chiusura e della dismissione dell’Italsider a Bagnoli avvenuta il 20 ottobre 1990 ovvero lo scandalo di una discarica abbandonata a cielo aperto, che ha appestato quel territorio; esempio ormai emblematico, questo, di tanti altri simili, giacché il Paese è pieno di fabbriche chiuse ed abbandonate a se stesse.
Ed allora: si faccia un’operazione verità in questo nostro territorio dove non si riescono a realizzare neppure gli investimenti già finanziati come Agromed e Tecnopolo.
Che fine hanno fatto ?
La prima delibera del Cipe relativa ad Agromed risale all’anno 2000 per un progetto finanziato con 9.281.247 euro che avrebbe dato lavoro a circa 28 lavoratori ex Miroglio.
E che dire del nobile progetto del Tecnopolo del Mediterraneo?
Istituito con la Legge di bilancio del 30 dicembre 2018 che prevedeva una spesa di tre milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020, 2021, il 2 aprile 2021 in Gazzetta Ufficiale era stato pubblicato il Regolamento e sbloccati i primi 8 milioni di euro.
Da un canto si parla di transizione ecologica – oggi grazie al PNRR – dall’altro si lascia finire nel dimenticatoio una realtà che rappresenterebbe un laboratorio di ricerca su tecnologie verdi, energie rinnovabili, nuovi materiali soprattutto una realtà la cui ricerca avrebbe potuto dare un grosso contributo a ridisegnare la produzione siderurgica verso un modello effettivamente green.
E cosa aggiungere ancora sull’annosa storia dei lavoratori ex Taranto Isolaverde S.p.A., per i quali sono state scritte pagine e pagine di cronaca, attivati tavoli su tavoli, moltiplicate parole su parole?
Tanti gli incontri sindacali attivati per questa vertenza d’intesa con il Prefetto, con la partecipazione di vari esponenti ministeriali, rappresentanti di Governo, di Regione e Comune, grazie ai quali si è arrivati a far finanziare un nuovo progetto con 6 milioni di euro dei Fondi sviluppo e coesione.
Oggi, però, i 130 lavoratori coinvolti, ai quali è scaduta anche la Naspi da oltre 5 mesi, sono ancora senza alcuna tutela reddituale ed ancora privi della dignità lavorativa.
E l’agonia lavorativa che contrassegna Taranto da anni è oggi ulteriormente aggravata dai timori di oltre mille famiglie di mitilicoltori, per la loro sopravvivenza economica, considerato che non si riescono a portare a buon fine le necessarie bonifiche per ridare al Mar piccolo ed alle stesse famiglie la dignità che meritano.
Insomma, crediamo che questa città non abbia assolutamente bisogno di slogan né di sogni che assomigliano più a specchietti per le allodole che a soluzioni concrete e realizzabili.
Non sappiamo quanta gente si recherà alle urne alle prossime elezioni amministrative ma, nel frattempo, auspichiamo che la politica faccia tesoro delle tante elettrici ed elettori che non esercitano più il proprio diritto costituzionale al voto, conquistato dai nostri padri con la lotta e con il sangue.
La politica, dal canto suo, inizi a considerare i reali problemi che attanagliano la città, ovvero disagio sociale, emigrazione di giovani, disoccupazione, forte presenza di Neet, alta percentuale di abbandono scolastico, cioè circa il 30% nell’intero territorio provinciale (fonte Censis) e, soprattutto, sappia quantificare ogni qualvolta si parla di risorse finalizzate al territorio quanti posti di lavoro sono previsti in corrispondenza.
Tra gli obiettivi trasversali alle misure previste dal PNNR ci sono assunzioni di donne, giovani, ovvero posti di lavoro che servono a dare dignità e speranze di futuro ad una comunità intera che continua a dare alla Puglia e al Paese molto, molto più di quanto in effetti riceve.
di Gianfranco Solazzo – Segretario Generale Cisl Taranto Brindisi