Meriterebbero maggiore attenzione e più solleciti interventi i prolungati appelli rivolti alle istituzioni nazionali, regionali e locali dalle Associazioni dei commercianti di Taranto e di Brindisi, a seguito di una crisi di settore che si è innervata in circa un anno di pandemia da Covid-19 pressoché in tutte le sue articolazioni, in una Regione, tra le poche, ristretta ancora a “zona arancione”.
Sostanzialmente in gioco qui c’è il valore finanziario dei ristori rivendicati dalle Aziende ma anche una sorta di auspicata serenità per progettare il futuro produttivo delle stesse, in un Mezzogiorno che confida oltremodo in un Recovery fund che sia in grado di riscrivere fondamentali economici, così come quelli dell’intero Paese, che privilegino l’inclusione sociale.
L’allarme degli imprenditori sull’avvenuta chiusura già di moltissime attività è immediatamente evidente con la scomparsa di tantissimi negozi di vicinato, la conseguente caduta verticale dei rispettivi indotti produttivi, un commercio di prossimità non più garanzia di prezzi calmierati a vantaggio di amplissime fasce di popolazione come quella anziana; e con una desertificazione economica altrettanto grave, derivante dal licenziamento di migliaia di lavoratrici, lavoratori e dalla precarietà aggiuntiva che coinvolge le rispettive famiglie.
Alcuni numeri, al riguardo, si rivelano implacabili.
Premessi i circa 40 mila posti di lavoro già persi in Puglia, in un anno di pandemia, a Brindisi per 2.185 imprese, con una forza lavoro di 6mila unità, l’incubo del fallimento è alle porte, stando alle proiezioni elaborate dalle stesse organizzazioni di categoria.
E quanto alle 2.845 Aziende che operano nel comparto ristorazione in provincia di Taranto, se la media di occupati nel settore in Italia è di 5,9, considerata una media locale di 3 occupati, i dipendenti coinvolti nella situazione di crisi sono 8.535 unità.
Sempre a Taranto, il 2020 ha visto censire 80 nuove imprese e 139 cessate (-59%), per cui calcolando la suddetta media di 3, sono stati ben 177 posti di lavoro già perduti.
Più in generale, risalta la perdita dell’afflusso di turisti in entrambi i capoluoghi pari al 90% rispetto all’anno precedente, con analoghe grandezze riferite al crollo del fatturato tra Agenzie di viaggio e Tour operators, mentre di vero e proprio tracollo si può parlare per tutto il sistema dei servizi, dalla ristorazione a tutta l’economia culturale e del divertimento, alle sale ricevimento e matrimoni.
E senza i turisti stranieri è anche crollato in Italia il segmento del lusso, per cui nei mesi estivi del 2020 si è verificata una mancata spesa di circa 14 miliardi; negli hotel a 5 stelle le presenze in calo sono state dell’80%, mentre il 98% dei ristoratori ne lamenta la mancanza e per il solo shopping il danno ha sfiorato i 6 miliardi.
Il nostro territorio è, dunque, alle prese con una situazione a dir poco drammatica, che è evidentemente aggiuntiva alle problematicità già connesse con l’emergenza economica, ambientale, occupazionale, rispetto alle quali la Cisl rilancia la propria idea di Patto sociale.
L’obiettivo è, intanto, unificare e velocizzare tutti i canali di finanziamento già in essere e concertare con i livelli istituzionali, a partire dal Governo nazionale di imminente insediamento, anche le ricadute territoriali dei finanziamenti europei aggiuntivi, espressamente riferiti al settore commercio.
Frattanto, la sede naturale delle due Prefetture ed il coinvolgimento di tutti i soggetti della concertazione sociale, compresi dunque gli Enti Locali, potrà costituire occasione di dialogo e di sintesi, per accelerare prime risposte in ordine allo snellimento dei passaggi burocratici, al possibile rinvio dei tributi locali e ad ulteriori forme di sostegno economico, finalizzando il tutto anche alla salvaguardia dei posti di lavoro.
Francesco Solazzo – Segretario Generale
9 febbraio 2021