Si ponga fine alle contrapposizioni sui temi riguardanti lo sviluppo produttivo e occupazionale di Brindisi e del suo territorio, per non radicalizzare il dibattito comunitario con argomentazioni inappropriate; e si torni ai fondamentali, lottando tutti, senza commistione di ruoli, per la salvaguardia degli asset produttivi qui esistenti e, conseguentemente, di tutti i posti di lavoro.
Lo richiede l’attuale momento storico, inedito ed incerto per gli equilibri politici ed economici nazionali e globali, dovuti alle conseguenze della pandemia e di una guerra che ancora insiste nei confini europei.
E tutto ciò, mentre ci si misura con una transizione – industriale, energetica, ecologica, culturale e sociale – dai caratteri epocali.
Il sistema industriale brindisino è stato e continua ad essere importante per l’occupazione diretta e indotta, per cui il venir meno anche di un solo pezzo di quel sistema si ripercuoterebbe pesantemente sull’intera economia del territorio e soprattutto sul reddito di famiglie e imprese, già di per sé falcidiato dall’inflazione alta e da un carrello della spesa i cui effetti negativi stentano ad allentarsi.
Peraltro, a livello nazionale si preannuncia un rallentamento degli effetti positivi registrati nei mesi passati, riguardo al Pil prodotto e all’occupazione.
Chi a tutti i costi opta per la piazza lo faccia legittimamente ma non già per frammentare le forze in campo bensì per richiamare istituzioni locali, regionali, nazionali e sistema delle imprese alle proprie responsabilità, come quelle di rivendicare una politica industriale concertata per il Paese, di velocizzare tutti gli investimenti pubblici e privati assai spesso evocati e mai realizzati, di aggiornare ed ammodernare gli attuali sistemi con particolare riguardo all’energia, alla chimica, alla logistica, all’economia circolare, all’agroindustria, alle fonti rinnovabili e relative filiere produttive.
Al riguardo, sono da scongiurare e da rigettare le ipotesi di chiusura di importanti siti, come quello annunciato da Lyondell Basell e relativo al P9T, una delle due unità produttive nello stabilimento di Brindisi, con possibili negative ripercussioni a livello occupazionale per 47 dipendenti, prefigurando con ciò il totale smantellamento dell’intera realtà societaria e conseguente ripercussione su tutta l’area del petrolchimico.
Noi saremo sempre, insieme con la Femca Cisl e le altre Federazioni di categoria, accanto ai lavoratori affinché il territorio non paghi ulteriori perdite occupazionali ed anzi accolga e non respinga nuovi investimenti che possano agevolare la transizione industriale ed energetica.
Ed è utile ricordare, semmai ce ne fosse bisogno, che in merito all’attuale processo di decarbonizzazione della Centrale Federico II a Cerano, tale delicatissimo processo è da governare e monitorare affinché sia scongiurata l’esplosione di una bomba sociale.
Pertanto, è inaccettabile restare come sospesi, in attesa cioè di programmi, progetti, idee finora materia più di illustrazione che di cantierizzazione.
Se, dunque, si tollerasse lo smantellamento del sistema manifatturiero di Brindisi, verrebbero meno tutte le opportunità di attrarre e valorizzare ulteriori investimenti tanto necessari ad un territorio che ha una ulteriore emergenza, benché comune al resto del Paese, quella demografica che vede sempre più venir meno le risorse più importati per il destino di una comunità: i giovani e le donne .
E’ un sano tessuto industriale che, insieme al sistema scolastico ed universitario, alla formazione continua, alla ricerca, alle politiche abitative, può dare maggiore grado di attrazione a un territorio; e, nel nostro caso, la stessa Cittadella della Ricerca costituisce valore aggiunto in termini di tecnologia, innovazione, nuove produzioni, soprattutto all’interno di un tessuto industriale forte, aggiornato, rinnovato, certamente non depotenziato.
Risiede in questo la coerenza di aver sempre rivendicato, come Cisl, uno sviluppo attento a tutti gli aspetti economici e produttivi di Brindisi città e del suo territorio, senza demonizzare in maniera preconcetta alcun settore.
E proprio in quanto la nostra Costituzione sancisce all’Art. 46 che “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende” assumono ulteriore valenza di futuro le ragioni che vedono, in queste settimane la Cisl impegnata nel Paese nella raccolta di firme a sostegno di uno specifico DDL di iniziativa popolare.
Come più volte indicato dal nostro Segretario generale Luigi Sbarra, rendere esigibile l’Art. 46 significherebbe intervenire per elevare i salari, la produttività, il protagonismo dei lavoratori.
Intervenire, al contempo, per fermare la delocalizzazione di chi smantella produzioni definite subdolamente non più competitive, per stanziarsi altrove, allo scopo di realizzare maggiori profitti a scapito però della partecipazione sociale e, troppo spesso, anche della legalità, della sostenibilità dei processi produttivi, del buon ambiente, della salute e della sicurezza interna ed esterna ai luoghi di lavoro.
di Gianfranco Solazzo – Segretario Generale Cisl Taranto Brindisi
Brindisi, 6 settembre 2023