Sul Pnrr si sono concentrate moltissime speranze – specie quelle del Mezzogiorno – giacché mai prima, nella storia repubblicana, l’Italia era stata destinataria per riforme ed investimenti di una mole di risorse pari a 191,5 mld di euro (al netto del Fondo complementare e del React Eu) da parte dell’Europa. Ebbene su tutte quelle speranze e sugli effettivi benefici che tali risorse effettivamente produrranno, oggi si addensano molte nubi, almeno sui temi a noi più cari, ovvero lavoro, occupazione, sviluppo.
Verificare, ad esempio, i risultati raggiunti ad oggi sul territorio ionico, dalle 6 missioni Pnrr (Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo – Rivoluzione verde e transizione ecologica – Infrastrutture per una mobilità sostenibile – Istruzione e ricerca – Coesione e inclusione – Salute – ) – si rivela impresa molto ardua, considerando per di più gli assi trasversali – giovani, parità di genere, divari economici e sociali – rispetto ai quali la cronaca quotidiana focalizza le persistenti vulnerabilità economiche, produttive e sociali. Problemi comuni all’intero Mezzogiorno, si dirà!
Ma a noi spetta concentrarci su presente e futuro della nostra comunità territoriale, per agire intanto a favore delle giovani generazioni, gravate fin da ora da un enorme debito economico, ambientale e sociale e, soprattutto, avviare finalmente cantieri importanti, come quelli infrastrutturali materiali, immateriali e, soprattutto, sociali.
Ebbene, a fronte di scadenze prefissate dal Pnrr per la realizzazione delle opere finanziate, l’Italia si è attardata troppo in chiacchiere o conflitti istituzionali e politici; di contro, per strada, al mercato, presso le nostre sedi sindacali, nei centri raccolta di pasti e bevande e non solo della Caritas, presso le agenzie del lavoro, i nostri sportelli-lavoro, i nostri Caf e sedi di Patronato, migliaia di persone cercano lavoro e lavoro legale, per dare sostegno alle rispettive famiglie e, magari, garantire il diritto allo studio dei propri figli.
Taranto è città con un mare straordinario, con un patrimonio paesaggistico, vestigia e tradizioni culturali uniche, con opportunità turistiche ed enogastronomiche ancora inespresse, con una portualità e retro portualità di prim’ordine, con una vocazione industriale consolidata e da non disperdere. Mai disconoscere, peraltro, che grazie alle grandi innovazioni apportate allo sviluppo del territorio dall’Arsenale MM., dalla cantieristica navale, dalla siderurgia, dall’energia, dalla metalmeccanica delle Pmi, Taranto ha permesso ai padri di assicurare un ascensore sociale ai figli, soprattutto grazie al settore industriale che, tra gli anni ‘60 e la fine degli anni ‘70, ha fatto aumentare di quasi otto volte il reddito medio procapite.
Nostalgia? Certamente no; ma leggere la propria storia, senza strumentalizzarla, diviene utile per governare i processi attuali, atteso anche che la nostra vocazione industriale non va demonizzata quanto, invece, potenziata aggiornandola, ammodernandola rendendola pienamente sostenibile, grazie alle innovazioni digitali e tecnologiche, con particolare attenzione agli aspetti sociali più delicati, giacché le diseguaglianze e le povertà non vanno accresciutema sconfitte. Argomentazioni, queste, ben chiare e rilanciatedalle direttrici dell’Agenda 2030 con i suoi 17 Goal, dal piano europeo del Green Deal, dallo stesso Pnrr, dagli Accordi di partenariato dei Fondi europei per la politica di coesione, dalle strategie nazionali, regionali e territoriali.Da ciò ridiscende che propriosostenibilità sia divenuto il termine più inflazionato nel dibattito comunitario.
Ebbene, Taranto ha bisogno di una forte accelerata, da parte di chi ha responsabilità istituzionali ai vari livelli, perché servono risposte certe ed esigibili su tante partite, come quella del CIS, rispetto al quale come sindacato confederale, dopo la prima fase di avvio, con l’allora Ministro per il Mezzogiorno e la Coesione Sociale, prof. Claudio De Vincenti, siamo sempre stati dei convitati di pietra.
Altra accelerata necessita, per il nostro stabilimento di produzione dell’acciaio più grande d’Europa, un Piano di futuro senza il quale rischia di divenire il fallimento più grande d’Europa; come pure l’annosa vicenda delle bonifiche del Mar piccolo, intanto perché esso sia restituito, totalmente bonificato, alle innumerevoli famiglie che legittimamente generano il proprio reddito dall’economia più pulita ed antica della città, la mitilicoltura e poi per impostare seriamente un concreto progetto di Industria del mare e di blu economy. Un genere di economia, quest’ultima, che potrebbe caratterizzarsi come sviluppo aggiuntivo con riverberi commerciali nazionali e internazionali, considerando che la cozza tarantina è già nel circuito slow food.
Ulteriore accelerazione dovrà riguardare gli investimenti su energia rinnovabile e rispettive filiere produttive, perché esattamente questo creerebbe innovazione e occupazione aggiuntiva. Imperativo diviene, altresì, non disperdere il lavoro realizzato fino ad oggi nella Zes Ionica, con il commissario straordinario Dott.ssa Floriana Gallucci. Al Tavolo di partecipazione da lei istituito abbiamo sempre espresso condivisione e posizioni costruttive in merito alle prospettive di sviluppo economico e occupazionale, affinché tale realtà si traduca in una nuova e grande opportunità per il territorio e analogamente per il porto ed il retro porto.
Va, sicuramente, incentivato il partenariato pubblico-privato ma non ci saranno mai risorse pubbliche disponibili sufficienti senza un grande Progetto di reindustrializzazione del territorio e, ancor più senza un Piano nazionale di politica industriale. Al riguardo, prima di pubblicizzare a cosa potrebbe servire l’acciaio prodotto a Taranto (dal Ponte di Messina agli impianti off shore?) e l’inserimento di energia rinnovabile nel ciclo produttivo del siderurgico (per eventuali accordi con Renantis e BlueFloat Energy?) va sancito con assoluta chiarezza se non si stia già scrivendo il certificato di morte del siderurgico ionico e con esso della siderurgia italiana.
Sono, forse, infondate le persistenti denunce delle nostre federazioni di categoria coinvolte in tutti i settori lavorativi dello stabilimento, circa lo stato degli impianti e sull’incertezza economica e lavorativa vissuta dai dipendenti diretti e indiretti? Abbiamo sempre espresso come Cisl ed in tutte le nostre articolazioni categoriali, considerazioni coerenti e responsabili; ma oggi è lecito suonare la campanella perché è evidente come stia per avvicinarsi l’ultima fermata.
Per far ripartire il lavoro a Taranto, dunque, chi ha in mano la leva istituzionale di comando e controllo sulle politiche strategiche nazionali e locali fornisca risposte immediate, con la consapevolezza che il sindacato fino ad oggi ha esercitato appieno la propria responsabilità, con la mente e il cuore attento alle aspettative di migliaia di lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione; una sorta di limbo, quest’ultima, che non può non avere un limite temporale né essere considerato condizione sostitutiva di un lavoro dignitoso, contrattualizzato e svolto preservando salute e sicurezza interna ed esterna ai luoghi di lavoro.
di Gianfranco Solazzo – Segretario Generale Cisl Taranto Brindisi
Taranto, 19 settembre 2023