Transizione ecologica, transizione digitale, inclusione sociale, costituiscono i tre assi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), cui si aggiungono tre priorità trasversali, donne, giovani, Sud, per quanto non sarebbe stato azzardato aver previsto anche una quarta priorità, quella della transizione culturale.
Un genere di transizione, insomma, che mettesse in discussione il modo stesso di concepire la cosa pubblica, di governarla e la responsabilità con cui vivere la comunità, con la capacità di mediare e di portare a sintesi i distinti interessi.
Insomma, una transizione culturale e politica che raccolga l’eredità di uomini che, chiamati a governare una comunità, hanno caratterizzato la propria azione facendo emergere la bontà del “noi” e non l’egoismo dell’”io” e contraddistinto la loro leadership come missione al servizio esclusivo degli altri.
E, questo, anche a costo di perdere consenso politico ma non quello umano, rimasto nella storia.
Tra questi, Giorgio La Pira, il sindaco buono, il quale sosteneva che “la politica è la forma più alta della carità”, tanto da essere oggi candidato dalla Chiesa cattolica alla beatificazione, per le sue virtù eroiche.
Certo, sarebbe improbabile pretendere tanto nel momento storico attuale, in cui la politica ha dovuto abdicare ad una eccellenza tecnica, come è il Primo Ministro Mario Draghi, per risollevare il Paese da una crisi sanitaria e sociale unica dal secondo dopoguerra ad oggi.
Ma in periodo di Quaresima non crediamo faccia male riflettere su tali esempi tanto utili ai tempi d’oggi, soprattutto nelle nostre comunità del Mezzogiorno pugliese, dove da anni ambiente, salute e lavoro non hanno mai trovato amministratori pubblici che sapessero mediare le ragioni di queste tre componenti, con la consapevolezza che nessuna delle tre possa reputarsi antagonista delle restanti due.
Il Covid-19 questo lo sta dimostrando con tutta evidenza, atteso che sta producendo feriti e morti, tanto dal punto di vista della salute quanto dal punto di vista economico.
Il rischio è che ci si convinca, sbagliando, che la soluzione del problema possa giungere esclusivamente dal PNRR, le cui risorse tutti rivendicano da Nord a Sud, da Ovest ad Est del Paese e da un capo all’altro delle singole regioni.
Quasi che le logiche dell’economia non dovessero più affermarsi e, quindi, che gli investimenti privati risultassero ormai un elemento di cui poter fare a meno.
Ecco, allora, che ex Ilva per Taranto e Polo energetico per Brindisi, divengono argomenti da utilizzare strumentalmente ora dall’una ora dall’altra parte politica, senza che mai si riesca a condividere un percorso ed un progetto che metta fine alle tifoserie e, con voce unica, sappia evidenziare ai tavoli e nelle sedi opportune interventi ed investimenti concreti e realizzabili, supportati da vere competenze tecniche, scevre da qualsiasi interesse ideologico e di parte.
Competenze che abbiano a cuore il bene comune, come nell’esempio di La Pira il quale, nel lontano 1953 per salvare la chiusura della fabbrica Pignone, con oltre 2 mila lavoratori, non esitò a coinvolgere tutto il mondo politico, imprenditoriale ed episcopale.
E vi riuscì facendola salvare dall’allora Presidente dell’Eni Enrico Mattei.
La situazione ex Ilva sta mettendo alle strette l’intero sistema produttivo diretto, dell’indotto e dell’appalto e soprattutto gli assetti occupazionali, senza per di più risolvere alcun problema di natura ambientale e di sicurezza sul lavoro.
La conseguenza ulteriore è la crisi anche di quei sistemi produttivi nazionali che necessitano dell’acciaio, come lamentato nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore dalle associazioni d’impresa, che denunciano la mancanza di prodotti piani, coils e lamiere ed una crisi che sta mettendo in ginocchio tutto il comparto dell’automotive e degli elettrodomestici.
E’ superfluo ricordare che tutto ciò significa ulteriori migliaia di posti di lavoro a rischio.
Ciò che preoccupa maggiormente è lo stato di incertezza (ormai decennale) sui livelli produttivi dell’ex Ilva se è vero che il 2021 doveva essere, per il polo siderurgico ionico l’anno del rilancio, con il ritorno a 5 milioni di tonnellate/anno, l’avvio di investimenti in impianti e ambiente e l’ingresso rapido dello Stato nel capitale di Am Investco.
Ed invece, una serie di comportamenti esiziali stanno portando alla chiusura dello stabilimento, senza alcuna proposta alternativa e concreta sul versante dell’occupazione e, dunque, alla potenziale perdita del lavoro per circa 20mila dipendenti tra diretti e indotto e, non ultimo, alla messa in discussione della sovranità industriale del Paese sull’acciaio.
Ebbene, salute e lavoro non possono più attendere e proprio questo è stato il messaggio delle organizzazioni sindacali che hanno manifestato il 26 marzo u.s. presso il MISE, in occasione dell’incontro con il Ministro Giorgetti sulle centinaia di vertenze aperte nel Paese.
Ed ancora: non si possono continuare ad attaccare pressoché quotidianamente le realtà produttive del settore energetico presenti a Brindisi, quasi che ciò giovi alla transizione ecologica ed allo sviluppo del territorio.
Sarebbe il caso di terminare il gioco delle tifoserie tra curva sud e curva nord che non apportano alcun contributo, in un momento straordinario del nostro Paese che, viceversa, necessita di confronto pacato di idee, di proposte, di contributi tesi a promuovere non decrescita ma sviluppo con corresponsabilità e partecipazione.
E’ utile ricordare che pur con le risorse previste dal PNRR e dal Just Transition Fund, la transizione energetica ed ecologica, senza i contestuali investimenti dei grandi player dell’energia (Enel, Eni, A2A, Edison) non sarebbe realizzabile.
Se si vanno a verificare i piani industriali di questi player si scopre che, nei prossimi 10 anni, la somma totale dei loro investimenti in economia verde supera le risorse di tutto il PNRR.
Sarebbe necessario, quindi, che gli amministratori pubblici invogliassero chi intende investire e non aggravassero gli iter autorizzativi già di per sé sovraccaricati da una farraginosità amministrativa che non ha pari in Europa, tanto che l’Antitrust è arrivata a chiedere la sospensione del codice degli appalti per l’utilizzo delle risorse del Next Generation Eu.
Proposta, ovviamente, che noi della Cisl abbiamo già fortemente contestato, in quanto significherebbe sospendere le norme sulla legalità, la garanzia di qualità delle opere, la trasparenza e la sicurezza degli appalti.
Diverso sarebbe affrontare un confronto serio sui percorsi di semplificazione di procedure autorizzative per la realizzazione delle infrastrutture, in questi anni diventate sempre più complesse per una superproduzione normativa che genera enormi ritardi e tante incertezze.
Nel frattempo sarebbe opportuno un adeguamento degli organici di tutti quegli uffici della Pubblica Amministrazione e quelle commissioni nazionali impegnate nella verifica e nel controllo degli atti autorizzativi di maggior rilievo, come quelli inerenti alle autorizzazioni VIA-VAS di competenza, dell’intero territorio nazionale.
Pertanto, l’auspicio è che si recuperi sui territori una maggiore propensione al dialogo costruttivo e alla cultura del “noi”, dialogo in cui nessuno possa pensare di affrontare il cambiamento epocale in itinere senza promuovere la condivisione.
Soprattutto, così come è stato suggerito da eminenti personalità del mondo accademico, è necessario attivare un vero e proprio Tavolo della pace.
Come non evocare e fare propria tale opportuna riflessione, nel corrente periodo della Quaresima ed in attesa della Resurrezione?
Francesco Solazzo – Segretario Generale Cisl Taranto Brindisi
28 marzo 2021