Dopo le preoccupanti dichiarazioni di ieri dell’AD di Arcelor Mittal Europa che, in assenza di una soluzione al problema della protezione legale chiuderebbe lo stabilimento ex-Ilva di Taranto il 6 settembre (data che segnerebbe l’entrata in vigore della legge che ha abolito l’immunità), ribadiamo che non si può continuare con la politica delle polemiche e degli spot. Questo diremo lunedì in occasione dell’audizione, presso la Prefettura di Taranto, della Commissione Industria. È il momento dell’assunzione di responsabilità da parte di tutti; ci sono problematiche vecchie ascrivibili alle gestioni passate: un esempio per tutti, le forti criticità sanitarie che non trovano ancora la giusta soluzione a causa dell’assenza di strutture appropriate a garantire cure sul territorio ionico.
Occorre concentrarsi sul merito delle questioni. A qualcuno sfugge che su questo territorio insiste la più grande impresa manifatturiera d’Europa che produce acciaio per l’intero Paese e che occupa tra diretti e indiretti circa 20 mila persone. Così come non può sfuggire l’esigenza e l’urgenza di portare a compimento tutte le opere di ambientalizzazione perché si ponga fine ad una devastazione sociale che ha un costo elevato in termini di vite umane e malattie. Inoltre, é ancora il caso di ricordare l’importanza che questo impianto ha per lo sviluppo locale e nazionale, per il Pil che genera, anche con la prossima istituzione della Zes Ionica e con l’area portuale adiacente. Rilevanza e competitività che passano attraverso la piena applicazione dell’accordo del 6 settembre scorso, sottoscritto al Mise, obbligando, di fatto, ai propri doveri ArcelorMittal e le stesse Istituzioni nazionali e locali.
Chiudere lo stabilimento significherà non bonificare ed ambientalizzare più l’area del siderurgico, non garantire il reddito a migliaia di addetti, ridurre le potenzialità di investitori del manifatturiero perdendo definitivamente anche la produzione dell’acciaio italiano.
Ecco perché siamo convinti che bisogna scongiurare la chiusura dello stabilimento.
Questo braccio di ferro Arcelor Mittal – Di Maio/Governo è deleterio per l’intera comunità. Il Governo faccia il Governo garantendo in questa vertenza una strada già tracciata e ben definita, attraverso l’accordo del 6 settembre, senza alcuna variazione nei contenuti; Arcelor Mittal rappresenti l’impresa responsabile, rispettando sempre lo stesso accordo e ritirando la procedura di cassa integrazione avviata per i circa 1400 dipendenti.
È il momento della responsabilità e del sano confronto: i lavoratori diretti e indiretti, le loro famiglie, i cittadini e l’intera comunità incominciano ad essere stanchi di queste provocazioni.
Antonio Castellucci
27 giugno 2019