Coesione sociale come faro e fondamento di una economia inclusiva
Più volte Papa Francesco ha ribadito che “la pandemia è una crisi e da una crisi si esce migliori o peggiori” e, tuttavia, qualunque genere di egoismo continua ad avere cittadinanza sia nel nostro perimetro nazionale che fuori.
Le recenti immagini di madri e padri afghani, che hanno lanciato i propri figli al di là del filo spinato, sperando di incrociare le braccia di un soldato che riservasse loro la possibilità un’esistenza libera, hanno interpellato le nostre coscienze e sono ancora nei nostri occhi.
E poi, che ci siano nazioni, come quelle della zona euro, con oltre il 70% di popolazione vaccinata mentre altre, come l’Uganda, con appena l’1%, la dice tutta su cosa non abbia ancora insegnato la pandemia da Covid-19, che riguarda il mondo intero.
Spostandoci, poi, su un altro versante, quello del lavoro, è bastato che in Italia si allentasse il limite al blocco dei licenziamenti, per licenziare persino attraverso un semplice sms, lavoratrici e lavoratori, ovvero persone che non sono semplici numeri di matricola, né prodotti inanimati.
Opportuno ma non sufficiente, nei fatti, si è rivelato l’avviso comune tra Parti sociali e Governo che raccomandava l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Insomma, l’emergenza-Coronavirus, non serve ancora a mettere in discussione il modello neoliberista, fortemente concentrato sull’egoismo umano con tutto il suo portato di diseguaglianze tra persone, paesi e continenti.
Pensare che ciascuno debba continuare a proteggersi da una globalizzazione selvaggia, significa che la lezione pandemica non ha finora lasciato alcun segno nelle menti, nelle coscienze e, soprattutto, nell’agire di un mercato ultraliberista, mondializzato e senza regole.
Oltretutto, siamo un Paese in cui l’emigrazione giovanile è una delle maggiori criticità in chiave di futuro eppure soffiando sul fuoco del populismo c’è chi incute politicamente timore se, per lo più giovani che fuggono da fame, miseria e guerra, oltrepassano i nostri confini e raggiungono i nostri porti, quali vittime di una emergenza umanitaria.
Si pensi che la zona nord dell’Africa, tra il Marocco e lo Yemen, nei prossimi anni sarà abitata da 700 milioni di persone, in maggioranza giovani con meno di 30 anni ma ci si attarda qui da noi sull’opportunità o meno di accoglienza di poche migliaia di profughi cui dovremmo, invece, offrire solidarietà umana e opportuna integrazione.
Integrazione che potrebbe risultare, persino, salutare anche per i nostri interessi economici, considerando il calo demografico degli italiani, che comporterà problemi per il nostro sistema sociale e per il futuro produttivo del Paese.
Nel 2020 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 404.104 bambini – il numero più basso dall’Unità d’Italia – mentre i decessi sono aumentati del 17,6%: quasi 112 mila in più rispetto al 2019.
C’è una espressione ricorrente che ormai fa parte del nostro lessico quotidiano, la “transizione ecologica” che, talvolta, si associa esclusivamente agli aspetti ambientali tralasciando quelli sociali.
Una transizione che dovrà realizzarsi considerando tutti i 17 goal dell’Agenda 2030, i cui primi due obiettivi sono sconfiggere la povertà e la fame.
Obiettivi da raggiungere anche nel nostro Paese, atteso che proprio per le sue attuali fragilità ha ottenuto dall’Europa una mole di risorse senza precedenti nella storia.
Come sindacato abbiamo preteso partecipazione e condivisione, a tutti i livelli, per ridisegnare il Paese dal punto di vista economico, sociale, occupazionale.
Un’occupazione che metta fine alla precarietà economica e, contestualmente alla insicurezza nei luoghi di lavoro, argomento sul quale abbiamo sollecitato i Governo anche con manifestazioni nazionali realizzate a Bari, Torino e Firenze lo scorso 26 giugno.
Abbiamo chiesto, nella circostanza, anche interventi mirati e sostanziali su formazione, riqualificazione, competenze, interventi che pongano attenzione ai lavoratori e agli attuali giovani, per traguardare gli obiettivi di quello straordinario piano che è il Next Generation Eu.
Temi, questi, tutti oggetto di confronto nazionale per il quale auspichiamo possano arrivare quanto prima ad accordi che rilancino tutele e lavoro sostenibile, non dimenticando che sono ancora centinaia di migliaia i lavoratori in cassa integrazione e che il 31 ottobre è prevista la scadenza del blocco dei licenziamenti per le piccole imprese ed il terziario.
L’Italia ha anche bisogno di una legge sulle delocalizzazioni, affinché una imprenditoria non “prenditoria”, che getta discredito su tante imprese virtuose, trovi un limite invalicabile circa l’attuale opportunità, pur a fronte di finanziamenti pubblici ottenuti, di spostarsi produttivamente altrove.
Forse i richiami di Francesco ad una finanza internazionale, che continua a mortificare tanto la dignità quanto il valore della persona, non ha raggiunto i risultati auspicati ma non bisogna demordere e la Cisl continua ad essere, coerentemente, sulle stesse posizioni di Papa Bergoglio.
Condivisione, partecipazione, patti sociali, coesione sociale vanno incentivati e perseguiti senza sosta, per ridare realmente un volto nuovo alla società e ad una economia inclusiva, così che le 130 mila vittime che il Covid-19 ha causato nel nostro Paese non siano state inutili e che anche gli attuali giovani tarantini e brindisini possano riconoscere, un giorno non troppo lontano, che la classe dirigente attuale ha saputo reagire a questa tragedia, consegnando loro una società migliore.
di Gianfranco Solazzo – Segretario generale CISL Taranto Brindisi
2 settembre 2021